Si difende spiegando che se non avesse sparato al figlio, sarebbe stato lui a morire. Questa in sintesi la confessione di Loris Pasquini detenuto in custodia cautelare, su disposizione del pm Paolo Gubinelli, con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal rap-porto di parentela. L’uomo ha giustificato il gesto raccontando che, durante l’ennesima lite, il figlio lo ha colpito con un bastone e lui ha impugnato la Beretta calibro 9 (arma procurata illegalmente perché a suo dire vivendo in campagna temeva i ladri) per intimorirlo puntando alle gambe, ma colpendolo invece alla gola.
In quel drammatico pomeriggio di lunedì 29, Alfredo avrebbe preso a calci l’auto del padre e poi lo avrebbe colpito più volte nel cortile. Da lì, l’ingresso in casa di Loris per prendere l’arma.
L’ex ferroviere ha parlato di 7 anni di aggressioni e minacce e di essere arrivato al culmine della disperazione per la convivenza con il figlio che non lavorava e faceva abuso di alcol e droga.
Per timore dell’aggressività di Alfredo, l’omicida e la terza moglie, d’origine thailandese, di notte avevano l’abitudine di chiudersi a chiave in camera.
Alfredo – la cui morte è stata confermata dall’autopsia per un’emorragia dall’unico proiettile conficcato nel collo da una di-stanza ravvicinata -era assistito dal Dipartimento Dipendenze Psicologiche e Centro di salute mentale di Senigallia per problemi psichici, e percepiva una pensione di invalidità.