10 giugno 1981: sono trascorsi 40 anni dal rapimento di Roberto Peci, fratello del pentito Patrizio, ex capo della colonna torinese delle Brigate Rosse. Cinquantacinque giorni di prigionia, interrogatori e un processo – il processo proletario – conclusosi con una sentenza di morte. Tre anni prima – nel marzo 1978 – il rapimento di Aldo Moro. Stesso modus operandi, stessa tragica fine. Ma quello che Patrizio Peci, collaborando con la giustizia, riuscì a fare con le sue rivelazioni, minò le basi della Lotta Armata, facendola implodere dall’interno. 70 arresti, in fila. Mentre i brigatisti si agitavano come topi in trappola, sul fronte opposto gli uomini di Stato avanzavano sullo scacchiere con lucida pazienza. Allora, al comando della Stazione dei Carabinieri di San Benedetto del Tronto, c’era il Maresciallo Francesco Ceneri. Fu lui a raccogliere le parole del pentito Peci , “l’Infame” Peci – come lo chiavano i suoi ex compagni. Nel 1981 il militare e la sua famiglia furono costretti a lasciare l’Italia in fretta e furia dopo la scoperta di un piano per eliminare la figura del Maresciallo. Negli Stati Uniti il militare continuò ad occuparsi di Sicurezza prima di far ritorno in Italia e mettere la propria firma su una serie di operazioni contro la criminalità ma anche nel sociale come testimoniano una lunga serie di encomi e riconoscimenti.
“Ricordo mio padre profondamente triste alla notizia del rapimento di Roberto Peci – racconta oggi la figlia, noto avvocato, Gabriella Ceneri – la sua vita e quella della nostra vita cambiarono per sempre dopo quell’evento”