ANCONA – I finanzieri del Comando provinciale di Ancona, coordinati dalla Procura della Repubblica di Fermo, hanno concluso un’articolata indagine di polizia giudiziaria che ha consentito di stroncare un radicato fenomeno di sfruttamento illecito della manodopera irregolare (cosiddetto caporalato), gestito da un uomo di etnia pakistana, che ha visto convolti oltre 50 lavoratori e una decina di aziende agricole operanti nella parte meridionale della regione.
Le complesse indagini dell’operazione denominata Country Workers – scaturite dall’esame di movimentazioni bancarie sospette – hanno consentito di risalire alle responsabilità di un imprenditore pakistano, domiciliato a Fermo. Quest’ultimo, al fine di fornire manodopera a basso costo alle imprese agricole coinvolte, “arruolava” connazionali in evidente stato di bisogno – poiché irregolari sul territorio nazionale, oppure, se regolari, con la necessità di lavorare per garantirsi i mezzi necessari sia per rinnovare (o ottenere) il permesso di soggiorno che per mantenere i propri familiari – destinandoli poi al lavoro presso terreni agricoli di terzi, in condizioni di sfruttamento.
Secondo la ricostruzione investigativa, i lavoratori venivano sottoposti a turni di lavoro massacranti, senza interruzioni e fruizioni di pausa pranzo, riposi festivi e settimanali, dietro l’erogazione di un compenso (in gran parte dei casi corrisposto “in nero” per occultare gli effettivi orari di servizio) ben al di sotto del salario minimo previsto dal contratto nazionale di categoria.
Tra l’altro, il “caporale” pretendeva da ogni operaio una quota giornaliera di 5 euro per le spese di trasporto e di consumo del carburante e, quando non erano al lavoro nei campi, i braccianti erano costretti a dimorare in abitazioni fatiscenti.
La Procura di Fermo ha richiesto ed ottenuto nei confronti del “caporale” un’ordinanza applicativa di custodia cautelare in carcere.
Il provvedimento cautelare interviene nella fase delle indagini preliminari ed è basato su imputazioni provvisorie che dovranno comunque trovare riscontro in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, nel rispetto della presunzione di innocenza.