di Pier Paolo Flammini
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Ho troppo rispetto per Giorgio De Vecchis, Luciana Barlocci e Simone De Vecchis (nell’ordine dei loro rispettivi abbandoni della maggioranza) per non comprendere le ragioni che li hanno condotti a dire addio alla posizione di sostenitori della giunta Spazzafumo. In particolare con Giorgio, col quale ho avuto modo in passato di collaborare nel rispetto dei propri ruoli (lui consigliere di opposizione, io giornalista), del quale ho sempre apprezzato le capacità di analisi e di approfondimento di cui mi sono spesso giovato per la cronaca amministrativa.
E come gli dissi quando decise di balzare all’opposizione, provai una umana amarezza – giornalisticamente, si resta sempre neutrali a prescindere – per il suo abbandono, perché speravo che le sue capacità potessero, per una volta, essere messe a servizio del governo cittadino anche in maniera attiva e non solo come valido oppositore. Ma tant’è.
Giorgio De Vecchis con avvedutezza parla anche di “burocrazia che guida la politica“, magari eccedendo con le critiche a chi governa da 18 mesi (e novizio della politica cittadina, ma questo lo sapeva anche De Vecchis quando ha contribuito a farlo eleggere) e dovrebbe rimediare d’incanto a 20 anni di inefficienze (questo non esime Spazzafumo ad agire nel senso giustamente indicato da Giorgio).
Stesso discorso, magari in tono ridotto per minore anzianità di servizio, per Barlocci e De Vecchis, i quali sono appena al primo mandato da consiglieri comunali, dunque da circa un anno e mezzo.
Eppure nei discorsi di tutti e tre i dissidenti, c’è qualcosa che non mi convince. E parlo di una debolezza nelle critiche specifiche all’azione amministrativa concreta; intendo scelte strategiche per la città.
Quelle fatte o prossime alla definizione sono diverse: la scelta di un ospedale a Ragnola, la Casa di Comunità sempre a Ragnola, la trasformazione dello spazio Asur di via Romagna (in un parcheggio?), la decisione di cambiare azienda esecutrice dei lavori sul lungomare, l’assenza di varianti urbanistiche su aree appetite. Altre questioni minori sono ad esempio la riqualificazione della piscina comunale (minore perché comunque la giunta attuale beneficia anche del lavoro della precedente), i fondi ottenuti per Villa Rambelli ed ex Palazzo Municipale, l’idea di togliere la Ztl al Paese Alto per pedonalizzare le piazze, e altre sicuramente che evito di citare. Su tutto questo non sento quasi mai dei distinguo ben motivati.
Tra i temi invece di grande importanza vi è certamente la riqualificazione dell’ex stadio Ballarin. Questa è stata la goccia che ha fatto “traboccare il vaso“, secondo il virgolettato di Simone De Vecchis. E non vi è dubbio che l’intera vicenda sia stata gestita con troppa velocità e un po’ di superficialità: che ci fossero problemi di staticità alla Curva Sud era cosa nota per via di studi già condotti, e che fossero necessari degli investimenti per mantenerla anche. Manca, su questo aspetto, la precisa versione dei fatti del sindaco e dei suoi collaboratori, ma a rigor di logica questo era un aspetto da appurare prima di presentare il progetto di Canali ai cittadini.
Dunque un errore, come minimo di tempistica e comunicazione. Ma basta questo per pensare di mandare Spazzafumo a casa (da parte dei componenti della maggioranza; per l’opposizione il discorso è un altro)? Sinceramente, volgendosi al passato del Nuovo Millennio, siamo memori di situazioni ben più dannose per la città – in qualche caso persino scabrose – digerite dalla maggioranza del tempo senza grandi sussulti.
Il sindaco, piuttosto, ha paura di non riuscire a rispettare i tempi che garantirebbero il finanziamento della riqualificazione del Ballarin: e lì sì che ci troveremmo di fronte ad un terremoto amministrativo. L’abbattimento della Curva, invece, era sostanzialmente nel programma di mandato, o almeno nel progetto inizialmente sposato dall’Amministrazione. Dunque le imprecisioni commesse, in una sorta di gioco dell’oca, fanno tornare tutto al punto di partenza.
E’ dunque sufficiente questo passo (falso, doppio, o di lato che sia)? No.
Infatti lo stesso Simone De Vecchis parla di “goccia che fa traboccare il vaso“.
Il tratto comune delle critiche dei dissidenti è un altro: uno Spazzafumo accentratore, un cerchio magico attorno al sindaco (i più citati l’assessore Gabrielli e il consigliere Micozzi), uno scarso coinvolgimento dei consiglieri di maggioranza.
Sono aspetti difficili da valutare dall’esterno, in un gioco delle parti che è composto da opinioni più che da fatti misurabili. Non che siano aspetti da sottovalutare: sicuramente il sindaco dovrebbe capire se i risentimenti hanno basi concrete o rientrano nei mal di pancia tipici di chi vorrebbe avere più considerazione.
Certo è che il richiamo a questi principi rischia di sembrare una resa dei conti quasi personale, o politichese; persino quando non sia questa l’intenzione (riconosciamo ai due De Vecchis e a Luciana Barlocci di aver richiesto questo tipo di approccio nella gestione amministrativa fin dal primo Consiglio Comunale, ad esempio; che poi possa diventare idealismo, è un altro conto).
A livello politico, Spazzafumo è sicuramente più debole, perché lo dice l’aritmetica. E potrebbe subire ricatti da consiglieri che volessero massimizzare la propria posizione marginale.
Ma è anche vero che ora le dissidenze sono finite: se ci fosse un prossimo consigliere pronto a minacciare la tenuta della maggioranza, se tirasse troppo la corda dovrebbe prendersi la responsabilità di far cadere Spazzafumo. Non una cosa da poco. E soprattutto servirebbe un errore davvero imperdonabile.
Per paradosso, il sindaco potrebbe addirittura uscirne rafforzato: grazie ad una maggioranza più coesa, magari, e anche capendo in che modo evitare ulteriori emorragie. Perché se in tre lo accusano di essere decisionista (anche se a volte dall’esterno sembra il contrario, e non è per forza un complimento), o comunque di decidere entro un cerchio magico, deve essere sicuro che così non sia, per evitare una imminente nuova fuoriuscita. Non basta dirlo, Spazzafumo deve sentirlo: è l’arte della mediazione politica, saper coinvolgere e saper decidere a seconda delle situazioni, senza prevaricare né accettare ricatti. Pur in un mondo in cui la politica – o almeno quella alta del Novecento – non esiste più.