La Cassazione “perdona” una commessa per una parolaccia alla cliente

Comprensione per gli addetti alle vendite che, nei periodi di shopping “selvaggio”, perdono la pazienza e sbottano con una epiteto di troppo, dinanzi a quei clienti che pretendono attenzioni esagerate, mentre attorno c’è la ressa natalizia. Licenziarle è troppo, specie se hanno usato un vocabolo “greve” ma entrato ormai nel comune parlare, per richiamarle al dovere di cortesia basta una multa, dicono gli ermellini.

Così è salvo il posto di Lisa V. rincorsa fino in Cassazione dal datore di lavoro che voleva licenziarla a tutti i costi. Sotto Natale, con il negozio pieno di gente e confusione nel dicembre 2017, Lisa V. commessa della grande distribuzione di una catena di elettronica di consumo – elettrodomestici e cellulari – ha un’uscita ‘colorita’ con un cliente petulante che voleva una prestazione del centro servizi. Lisa – sempre stata calma e sorridente, mai un appunto da nessuno – gli si rivolge con una “espressione volgare” in “modo grevemente scortese” e viene licenziata in tronco, per giusta causa nel marzo 2018. Ma per la Cassazione è da escludere che la lavoratrice – che ha usato un termine un po’ forte ma “entrato nel comune intercalare” e che vantava anni di irreprensibile servizio – meriti una simile ‘punizione’ per non aver “usato la dovuta cortesia che un addetto alle vendite deve usare nella relazione con la clientela”.

L’episodio boccaccesco, “unico e isolato”, “non è grave” sicché “la sanzione disciplinare non può essere quella espulsiva del licenziamento disciplinare senza preavviso”, concludono gli ‘ermellini’ rilevando anche che nessun altro, nè tra i clienti nè tra i colleghi di Lisa, si era accorto dell’episodio “offensivo”. Una multa, come sanzione conservativa del posto, sarebbe stata sufficiente, dicono gli ‘ermellini’, dunque Lisa V., non ha perso il lavoro ed è stato respinto il ricorso di Mediamarket che ha insistito fin davanti alla Suprema Corte con la richiesta di licenziamento a seguito delle proteste del cliente “irritato dall’insolenza” e che indispettito “non aveva portato a termine il suo acquisto” di “modesto valore economico”.

Per la Cassazione, che ha confermato quanto stabilito dalla Corte di Appello di Brescia nel 2019 e dal tribunale di primo grado – di una città lombarda non meglio specificata – , la ‘parolaccia’ sfuggita di bocca non può portare al “licenziamento per giusta causa”.

Il verdetto è il n. 13774 della Sezione lavoro – presidente Guido Raimondi, relatore Adriano Piergiovanni Patti – ed è stato depositato lo scorso due maggio, dopo l’udienza del due febbraio. La Procura del Palazzaccio era stata invece più sensibile al reclamo del datore e ne aveva chiesto l’accoglimento e un nuovo processo meno ‘clemente’. Lisa V. è stata difesa dall’avvocatessa Mara Parpaglioni di Roma.