I Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Ancona hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415 bis c.p.p.) emesso dalla Procura dellaRepubblica presso il Tribunale di Ancona nell’ambito del procedimento nr. 2654/18R.G.N.R.
Agli indagati sono contestati vari reati in materia ambientale, e segnatamente il disastro ambientale, la gestione illecita di ingenti quantitativi di rifiuti speciali, il getto pericolosodi cose, lesioni personali a carico di numerosi cittadini. Sono inoltre stati contestati delitticontro la pubblica amministrazione, la violazione della normativa sulla gestione degli impianti a rischio di incidente rilevante e la responsabilità amministrativa degli enti neiconfronti della società API RAFFINERIA S.p.A.
Le indagini, condotte dal NOE di Ancona e coordinate dalla Procura dorica, hanno avuto origine a seguito all’evento incidentale del 11 aprile 2018, data in cui si verificò l’inclinazione del tetto galleggiante di un serbatoio situato all’interno del polo petroliferodi proprietà della “API RAFFINERIA DI ANCONA” S.p.A.
In particolare, l’evento riguardò uno dei serbatoi più grandi d’Europa per una capacità di portata pari a 160.000 metri cubi di petrolio greggio, provocando la fuoriuscita di una nuvola di gas idrocarburici e la conseguente percezione di forti e prolungati miasmi da parte della popolazione della zona, oltre al serio pericolo per la sicurezza derivante dal rischio di esplosioni.
La conseguente attività d’indagine, espletata con il contributo di consulenti tecnici incaricati dalla Procura, nonché attraverso una molteplicità di strumenti investigativi (sopralluoghi e campionamenti analitici, osservazioni dirette, escussione a s.i.t. di personeinformate sui fatti, consulenze in campo ambientale, acquisizione ed analisi di copiosamole documentale ecc.) ha permesso di ricostruire le modalità gestionali dello stabilimento di proprietà della “API RAFFINERIA DI ANCONA” S.p.A,caratterizzate da ripetute violazioni, sia delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzativi, sia degli stessi dettami sanciti dalla specifica normativa di settore.
Le indagini espletate hanno fatto emergere gravi carenze strutturali negli impianti, condiffusione incontrollata e prolungata nell’ecosistema di inquinanti pericolosi per l’ambiente e per l’uomo.
Nel territorio di Falconara M.ma (già in parte censito nell’elenco dei Siti di InteresseNazionale – S.I.N. – per le bonifiche ) si è registrato, infatti, un significativo inquinamento ambientale causato dalle attività della Raffineria che, pur operando sulla scorta dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) n. 171 del Ministero dell’Ambiente e dellaTutela del Territorio e del Mare rilasciata in data 11.05.2018 , ne ha violato le prescrizioni ed i limiti di emissione con riferimento alle emissioni in atmosfera, agli scarichi idrici, ai rifiuti, alla gestione dei malfunzionamenti e degli eventi incidentali.
In particolare l’ipotesi di cui all’art. 452 quater comma 2 del codice penale, che prevede il reato di “disastro ambientale”, è stata contestata in riferimento alla grave compromissionedella matrice suolo e sottosuolo, della qualità dell’aria delle zone limitrofe all’impiantopetrolchimico falconarese, delle acque superficiali e delle acque sotterranee presso lequali è stata più volte riscontrata la presenza di reflui industriali contenenti Idrocarburi.
L’ inquinamento e la perdurante dispersione di prodotti nel suolo, sottosuolo, nelle acquesono stati principalmente provocati dallo stato di deterioramento degli impianti e dallegravi carenze riscontrate nell’ ispezione e manutenzione di vari serbatoi, di rilevantidimensioni, nonché degli impianti di trattamento delle acque di scarico (T.A.S.), ditrattamento delle acque di falda (T.A.F.) e della rete fognaria oleosa della Raffineria API, siè, inoltre, riscontrata l’omessa comunicazione da parte della società degli eventiincidentali (tra cui proprio quello accaduto in data 11 aprile 2018).
La compromissione della qualità dell’aria delle zone limitrofe all’impianto petrolchimicofalconarese stata invece provocata dalle ripetute emissioni in atmosfera di gas derivantidalla lavorazione degli idrocarburi.
Nella fattispecie, le immissioni sono state cagionate dal rilascio in atmosfera di compostigassosi quali Ossidi e Biossidi di Azoto ed Anidride Solforosa a sua volta provocato dalla combustione di G.P.L. (gas petrolio liquefatto) “fuori specifica”. Tale gas, non essendo commercializzabile in considerazione dell’alto tenore di zolfo e del residuo all’evaporazione, è stato in più giornate, a partire dalla data del 20.05.2020, bruciato nellatorcia idrocarburica della Raffineria API, al solo scopo di disfarsene.
La contestazione degli organi inquirenti è che tali condotte siano sorrette dalla volontà di risparmiare gli ingenti costi per l’ispezione, la manutenzione e l’adeguamento degli impianti in questione (solo la bonifica di uno dei serbatoi oggetto delle indagini avrebbeinfatti comportato un esborso pari ad oltre 2 mln di euro, mentre lo smaltimento dei rifiuti liquidi costituiti dalle acque di processo avrebbe comportato dei costi di almeno 8 milionidi euro all’anno) e allo stesso tempo di non compromettere l’attività produttiva,rallentando i processi di lavorazione che, in caso di esecuzione delle dovute opere di ispezione e manutenzione, avrebbero subito una inevitabile riduzione.
Violazioni in materia ambientale sono state contestate anche dall’ I.S.P.R.A. (IstitutoSuperiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) che, durante l’attività di controllo ordinario condotta annualmente, ha accertato violazioni concernenti la gestione illecita delle c.d. “acque di processo” costituite da reflui oleosi che, una volta drenati dai serbatoi di stoccaggio del greggio, venivano fatte affluire verso l’impianto di Trattamento delle Acque di Scarico (T.A.S.) previo passaggio attraverso un sistema di collegamento dei reflui non completamente stabile. Per tale ragione l’I.S.P.R.A. ha ritenuto che il suddetto assetto impiantistico non fosse regolare in quanto rientrante nell’ambito della normativa sulla gestione dei rifiuti e che, come tali, fossero da classificare i citati reflui oleosi.
A seguito delle indagini sono inoltre stati contestati reati contro la pubblica amministrazione, segnatamente i reati di abuso d’ufficio, rivelazione di segreti d’ufficio e istigazione alla corruzione, da parte di un pubblico ufficiale al vertice dell’organo tecnico deputato al controllo.