Da oggi reintegro dei medici no-vax ma resta Ffp2 in ospedali e Rsa

ROMA – Rimettere al lavoro al più presto i circa 4mila medici ad oggi sospesi perchè non hanno adempiuto all’obbligo di vaccinazione anti-Covid, con l’obiettivo di colmare le carenze di personale che in varie Regioni stanno mettendo in ginocchio ospedali e servizi sanitari.

E’ questa la ‘ratio’ alla base della norma approvata ieri dal Consiglio dei ministri (Cdm) che anticipa di due mesi – dal 31 dicembre al 1 novembre – lo stop all’obbligo vaccinale per le professioni sanitarie, mentre resta l’obbligo delle mascherine negli ospedali e Rsa fino al 31 dicembre per lavoratori, utenti e visitatori. A chiarire il senso dei provvedimenti che hanno visto oggi il via libera, la premier Giorgia Meloni e il ministro della Salute Orazio Schillaci nella conferenza stampa seguita al primo Cdm del nuovo esecutivo.

Lo stop dall’1 novembre all’obbligo vaccinale non rappresenta una scelta no-vax bensì, hanno spiegato, a sostegno del Servizio sanitario nazionale e che tiene conto del mutato quadro epidemiologico. Questa norma, ha affermato Meloni, “ci consente di prendere 4mila persone e rimetterle subito al lavoro”.

Il ministro Schillaci ha anche fatto riferimento a “quella che è stata l’importanza dei vaccini nel contrasto alla pandemia” ed ha ringraziato medici e operatori che “in questi anni si sono prodigati contro il Covid”. La salute pubblica, ha aggiunto, “non è un problema ideologico e burocratico ma bisogna avere un approccio sereno e scientifico”.

Un fronte aperto è inoltre quello della eventuale riduzione dell’isolamento di 5 giorni per i positivi asintomatici: un tema al quale si sta lavorando, ha annunciato il ministro, ma tutto dipenderà dall’andamento del quadro epidemico.

Quanto al bollettino dei dati sul Covid reso ora settimanale, “se ci saranno nuove varianti siamo pronti a intervenire, ma i dati sono raccolti tutti i giorni, non sono secretati e sono comunque a disposizione delle autorità competenti”, ha precisato. La decisione è stata però contestata da vari esperti, dall’epidemiologo Cesare Cislaghi, che parla dell’inizio di una “censura epidemiologica”, allo statistico Livio Fenga secondo cui con dati settimanali è difficile prevedere nuovi focolai.