Venti misure cautelari per associazione mafiosa, a Pescara. Il gruppo operava a Rancitelli

PESCARA – Venti misure cautelati, 19 in carcere e una ai domiciliari, sono state eseguite questa mattina (giovedì 13 aprile) dai Carabinieri del Comando Provinciale di Pescara, per il delitto di associazione di stampo mafioso e numerosi altri reati satellite (estorsioni, possesso di armi ed esplosivi, traffico illecito di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, danneggiamento aggravato, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, occupazioni abusive di immobili, minaccia aggravata e truffa). Reati commessi a Pescara, nel quartiere Rancitelli in particolare, con basi operative al Ferro di Cavallo, che nei prossimi giorni verrà abbattuto.

La misura cautelare è stata richiesta al Giudice della Direzione Distrettuale Antimafia dell’Aquila all’esito di una lunga indagine, cominciata nel maggio 2020 e condotta dal Reparto Operativo – Nucleo Investigativo di Pescara con l’impiego di avanzate tecniche di sorveglianza audio e video, costantemente accompagnate da servizi di osservazione e controllo del territorio.

Nello specifico, le attività investigative hanno preso lo spunto da alcuni reati “spia” dai quali si è percepito lo stato di profondo disagio degli abitanti del quartiere – e in genere della cittadinanza pescarese – per la prassi di illegalità presente nel quartiere, divenuto gradualmente invivibile per chi non prestasse acquiescenza alle prevaricazioni e non tollerasse passivamente la commissione dei più svariati delitti.

Gli esiti delle investigazioni, sviluppate attraverso attività tecniche di intercettazioni audio e video, durate per oltre due anni e puntualmente riscontrati da servizi sul territorio, hanno documentato, per la prima volta a Pescara, l’esistenza di un gruppo criminale composto prevalentemente da nuclei familiari residenti nel quartiere Rancitelli dediti alla pratica e all’ostentazione della violenza verso le persone e le cose. “ La violenza si è protratta nel tempo e ha generato una notevole forza intimidatrice con la conseguente condizione di assoggettamento e omertà di tutti coloro che potevano avvertirne il pericolo” – ha spiegato il Colonnello Antonio Bandelli.

Si è dunque creata la situazione tipica dell’associazione mafiosa descritta dal codice penale, nella quale un gruppo organizzato controlla un determinato territorio sul quale è in grado di compiere impunemente una serie indeterminata di delitti sopprimendo qualsiasi tipo di controllo sociale e legale. In particolare, le indagini hanno evidenziato episodi di intimidazione contro pubblici funzionari nel corso delle occupazioni e del commercio illegale di “case popolari”; hanno consentito di apprezzare il controllo egemonico sul territorio, nonché l’imposizione di un “cartello” che fissava il prezzo di vendita degli stupefacenti in tutte le piazze di spaccio.

La forza dell’organizzazione si avvertiva anche in carcere, hanno precisato gli inquirenti, dove il gruppo poteva gestire l’ingresso di sostanze stupefacenti e gestirne la circolazione con le stesse prassi violente utilizzate all’esterno, fatte di pestaggi e di veri e propri raid punitivi nei confronti di detenuti insolventi o non ancora piegati alle regole dell’organizzazione.

Uno dei leader dell’associazione mafiosa, già ristretto, riusciva a imporre i propri ordini, grazie all’utilizzo di apparecchi telefonici dedicati, fatti entrare clandestinamente nel carcere. L’attività d’indagine ha consentito anche di ricostruire compiutamente le fasi attuative di alcuni incendi dolosi, avvenuti al Ferro di Cavallo, ad autovetture di proprietà di un testimone oculare di omicidio e di cittadini che, in rarissime ed isolate occasioni, avevano tentato di infrangere il muro di omertà a cui erano stati costretti.